lunedì 19 gennaio 2015

Stilo - altare ligneo della chiesa di S. Francescoaltare ligneo della chiesa di S. Francesco
Presenze monastiche in diocesi Locri -
Gerace Abbiamo Bivongi, con la realtà greco-ortodossa. C'è un monaco - ogni tanto se ne aggiungono due - legato all'Athos,. Questa realtà è positiva, anche se ogni tanto si impone la necessità di chiarificazione. C'è poi la realtà di San Nicodemo, nel cuore della Diocesi, a cavallo tra la montagna e due mari (si guardano contemporaneamente il mar Tirreno da una parte e il mar Ionio dall'altra). Lì c'è un eremita che ha aperto la strada in Diocesi. E legatissimo a Serra San Bruno, praticamente ha quasi lo stesso abito, segue più o meno lo stesso orario di preghiera, anche con una preghiera notturna di un'ora e mezza-due. Vive da solo con grande coraggio perché è in un luogo molto difficile, ventoso, freddo. È veramente bravo! Si chiama Ernesto, ed è un prete diocesano che ha vissuto un'esperienza di parroco sempre molto più avanzata rispetto alle altre realtà parrocchiali, che fan fatica a capire certe cose. Pochi mesi dopo che io sono arrivato in Diocesi mi ha chiesto di iniziare questa esperienza e continuamente si verifica - e questo è molto bello - con la comunità di Serra San Bruno. In diversi periodi dell'anno sta con loro, una settimana, 10 giorni, e lo accolgono volentierissimo, lo sentono un monaco che non vive con loro, ma vive a un po' di distanza ed è praticamente come se fosse un terziario certosino. Ed esiste poi una piccola comunità femminile di tre religiose (due professe e una novizia) che sono uscite da una congregazione di suore molto tradizionali e hanno scelto di avviare una nuova esperienza. Inizialmente si erano messe in un luogo vicino al mare, a Riace, poi hanno scelto un luogo all'interno: per che motivo? In Calabria, come credo un po' dappertutto, c'è il fenomeno dello spopolamento dei paesi interni, a vantaggio dei paesi della marina. Queste religiose hanno capito questo e hanno detto: «Facciamo la cosa contraria come nel Medioevo hanno fatto i monaci». Hanno preso una casetta vicino ad un santuario (si chiama «Eremo delle Querce» perché ci sono intorno alcune grandi querce) in una sperduta periferia di Caulonia, a Crochi. Tante cose sull'esperienza del monachesimo basiliano me le hanno insegnate loro. Fanno riferimento a Subiaco ed è bello anche que­sto, che cioè nessuna comunità nasce dal nulla, ma c'è sempre un riferimento ad una comunità più matura che ha iniziato prima, con cui verificarsi, con cui confrontarsi... Anche loro vivono del loro lavoro, visitano le famiglie attorno. Poi c'è sant'Barione con il dono che ci avete fatto di Frédérìc, il quale è arrivato nell'aprile di tre anni fa. Io l'ho accolto anche perché legato alla figura di don Gianni Mazzillo, il padre spirituale che l'ha accompagnato e gli ho affidato un luogo molto bello, suggestivo, su un promontorio vicino ad un fiume. Ai piedi di Gerace c'è una chiesetta che già nel nome dice l'origine spagnola: Monserrato. Nei pressi di questa chiesetta che guarda la vallata che c'è sotto, verso Locri, a 10 km circa da Locri, due sorelle hanno chiesto di iniziare una vita monastica. Proprio per questo sguardo al mare, il loro carisma, maturato un po' alla volta, è soprattutto in dimensione ecumenica. Si sono chiamate «Piccola famiglia dell'uni­tà», anche se il nome è ancora da definire perché sia­mo ancora in una fase embrionale. Gerace è sempre stata una Chiesa e una città ponte fra Oriente ed Occidente. Hanno parlato greco fino al 1480, quindi hanno subito praticamente mille anni di influsso bizantino. Nella chiesa si è parlato 500 anni greco e 500 anni latino e sotto l'altare abbiamo scritto sia in latino che in greco la preghiera di Gesù: «Che siano una cosa sola.» E la ragione per cui questa piccola comunità monastica vive della spiritualità bizantina e lo sguardo al mare è l'augurio che questo mare non sia più il mare della separazione ma il mare dell'unità. Questa attenzione è rivolta anche al mondo islamico. Una delle sorelle è molto brava nel proporre la lectio divina. Pensate che sono tre anni che lei predica alle suore della Diocesi e tiene diversi corsi di esercizi ed è un dono grandissimo per me. Il fatto stesso che le suo­re da tre anni chiedano a lei di animare il ritiro mensile, è un segno della sua incisività e in effetti, quando parla, è molto brava. Ha fatto i ritiri al clero quest'anno sulla Prima lettera di Pietro e sono rimasti contentissimi anche perché non «li liscia» mica, eh? ! Non che li rimproveri, ma fa capire chiara la Parola di Dio, le sue esigenze. E molto asciutta, molto sbrigativa... Poi abbiamo, come sigillo, da due mesi, le suore carmelitane che vengono da Crotone. Quattro sono venute dal 12 febbraio a Gerace e hanno preso una casa in un luogo molto silenzioso della città, una casa antica, molto suggestiva, in attesa di restaurare un convento di cappuccini nella Piana di Gerace, un luogo dimenticato, mezzo abbandonato per tante vicende e quando le ho accompagnate io mi vergognavo dal rossore perché non era affatto dignito­so e loro nel vedere quel luogo hanno detto una frase che ci ha conquistati: «Qui dobbiamo venire, perché qui ci sentiamo attese». E l'innesto di un'esperienza antica con un'esperienza nuova. Una suora che ha vissuto un'esperienza molto intensa di carità, ha chiesto di viverla in una zona difficilissima della nostra Diocesi. E la suora che ha vissuto con padre Pino Puglisi, suor Carolina. Lei è stata la prima ad accorrere dopo l'uccisione di questo prete quando tutte le finestre si stavano chiudendo in quel terribile 15 settembre del '93. Siccome io la conoscevo già da Crotone, le ho affidato la zona di San Luca, con gli adolescenti. Non entra nelle realtà monastiche questa qui, però fa parte di quelle esperienze di rinascita della vita religiosa più densa, a contatto con i poveri, più drammatica. Due parole ancora, perdonate, non vorrei tediarvi. Mia madre dice che sono un chiacchierone, ma mi piace raccontare non per edificare me, bensì per far vedere la ricchezza, con cui Dio sta costruendo proprio là dove sono tante le lacrime. Da tempi antichissimi c'è un luogo monastico a Polsi, proprio nel cuore di questa montagna. L'Aspromonte non ha case, non ha paesi, non è come le Dolomiti, non c'è niente. L'Aspromonte è solo selvaggio, ma selvaggio nel senso più autentico del termine, intatto, è una bellezza primigenia, suggestiva. Questa realtà nel cuore dell'Aspromonte è nata forse nell'epoca in cui i monaci venivano esuli dall'Oriente durante la lotta iconoclasta nel 720-730 fino al famoso Concilio di Nicea II che ha approvato finalmente la le­gittimità della venerazione delle icone (787) e quindi questa esperienza ha dato a questa realtà una dimen­sione tutta particolare. Ora c'è un importante santuario legato a due tematiche: la croce e la Madonna. È molto frequentato nel mese di settembre e una volta, fino ali 1850, c'erano gli eremiti. Una realtà che ha un riferimento indiretto ma efficace è una comunità di vita fatta di laici che si intrecciano con questa costellazione che vi ho raccontato. Si chiama «Comunità di Liberazione» e vive a Gioiosa. E costituita da una coppia con due bambini, due ragazzi in carrozzella - un ragazzo e una ragazza -, due ragaz­ze che vivono lì insieme, ed è un po' quello che ho visto stamattina nella preghiera, cioè questa realtà maschile e femminile insieme, una coppia... Il parroco del paese, don Giuseppe, li ha iniziati e adesso sono per noi il polmone pulsante della Pastorale del lavoro, della Pastorale sociale. Per esempio hanno la guida di tutte le «Cooperative Goel». Nella Bibbia, Goel è il riscattatore, colui che è legato alla storia di Rut e per noi è l'emblema del «Progetto Policoro» che la Chiesa italiana si è dato per aiutare i giovani nella ricerca del lavoro. Rut è l'emblema della ragazza che non si rassegna alla sua storia di dolore, ma aiuta addirittura Noemi, la suocera, a tornare con lei. E Goel è l'immagine di Booz che prende a cuore la storia di Rut e diventa l'immagine del legame, della solidarietà, della speranza, una solidarietà non soltanto affettiva, ma effettiva, anche socio­economica. Pensate che il progetto Goel è un consorzio che lega insieme 12 cooperative. La nostra forza in que­sto momento (lo si è visto anche di fronte ai danni operati dalla mafia su un'azienda legata ad una cooperativa) è stata quella di avere un consorzio che mette insieme le cooperative perché altrimenti la sola cooperativa crolla facilmente. I consorzi invece sono la nostra forza perché poi sono collegatissimi con il consorzio di Mila­no, quello di Trento, con la CGA che ha 1500 cooperative collegate in tutta Italia... Questa è la nostra risorsa. La cosa bella che vedo è questa: che queste esperienze monastiche si legano tantissimo con questa esperienza laicale, anzi una da all'altra. La realtà monastica da la spiritualità e difatti loro hanno lanciato la proposta di una preghiera proprio per le vocazioni laicali, non solo per le vocazioni religiose. Questa inter­connessione è il vero legame con la Chiesa locale: quando il vostro carisma incide in realtà simili che sono all'interno del laicato, allora veramente questa è la grande forza dell'esperienza monastica. Ora voglio dirvi ancora qualcosa che divido così: quello che le comunità monastiche danno alla Chiesa locale e quello che la Chiesa locale restituisce alla realtà monastica.